Appello degli uomini in difesa della Legge 194

ROMA - Un appello degli uomini della CGIL Lombardia -che riceviamo e volentieri diffondiamo- invita gli uomini ad intervenire a fianco di tutte le donne, in difesa della legge 194, contro il violento clima proibizionista scatenato, anche col contributo del giornalista Giuliano Ferrara. "E’ difficile prendere la parola -si legge nell'appello- eppure non riusciamo a rimanere inerti di fronte alla violenza che la nuova campagna antiabortista sta agendo nei confronti delle donne. Perché il nostro silenzio ci fa sentire complici."

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E’ difficile prendere la parola quando si sa che la parola prima spetta alle donne.


E’ difficile prendere la parola quando la parola costituisce uno degli strumenti con cui si esercita potere e violenza.


E’ difficile, per un uomo, prendere la parola per esprimere i sentimenti che prova nel momento in cui altri uomini, con parole ed interventi pesanti, tornano a mettere in discussione il primato delle donne a decidere del proprio corpo, della possibile maternità, o della dolorosa scelta di interromperla.


E’ difficile per non prevaricare, per non aggiungere violenza a violenza.

Eppure non riusciamo a rimanere inerti di fronte alla violenza che la nuova campagna antiabortista sta agendo nei confronti delle donne. Perché il nostro silenzio ci fa sentire complici.


Non riusciamo a nascondere il ribrezzo per il ritorno all’utilizzo di argomenti con cui per secoli, con il pretesto della “tutela” dei soggetti deboli, le gerarchie ecclesiastiche, il potere politico, il potere medico, il potere “maschile” in generale, hanno esercitato il dominio, la discriminazione, l’oppressione nei confronti delle donne.

 

Pensiamo che la legge 194 sia stata una conquista di civiltà per il nostro paese. Perché ha permesso di contenere gli aborti clandestini ed ha affermato il principio del primato della donna nella scelta di proseguire o interrompere la gravidanza.

 

 

 

Troviamo insopportabili le retoriche della “corresponsabilità” maschile.

La responsabilità maschile riguardo la maternità e la paternità non può trasformarsi in un potere o in un diritto a decidere su ciò che a noi è naturalmente precluso.

L’intervento “maschile” per la prevenzione dell’aborto non può consistere nell’imporre – ancora una volta – ad altri la propria volontà.

Anzi dovrebbe consistere nel cominciare a praticare cambiamenti nei propri comportamenti che costruiscono una cultura di oppressione, discriminazione e violenza che costituisce un substrato importante nella decisione di interrompere la gravidanza.

Proviamo ad indicare alcuni di questi capitoli, che restano significativamente rimossi nella discussione pubblica, su cui sarebbe – qui sì – importante un intervento diretto ed una riflessione da parte degli uomini.

a) Violenza, abuso e maltrattamento nei confronti delle donne. Anzitutto e soprattutto nella famiglia, come ci raccontano non solo le cronache, ma anche le ricerche. A questo proposito il rapporto ISTAT 2006 "La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia" è stato tanto impressionante quanto ignorato.

b) Partecipazione al lavoro di “cura”. Che senso ha rivendicare il proprio diritto a decidere sul proseguimento o meno di una gravidanza, se poi, dalla nostra esperienza quotidiana prima ancora che dalla ricerca, verifichiamo che i padri non contribuiscono alle attività di cura all’interno della famiglia (ISTAT 2005 La paternità in Italia: "appena l’11% dei padri si occupa in modo ‘sostanziale’ dei figli in età scolare")?, per non parlare della partecipazione al lavoro domestico…

c) Discriminazioni sul lavoro: non si tratta solo dei casi più eclatanti costituiti dalle mancate tutele per la gravidanza, dai licenziamenti forzosi, dalle carriere bloccate, dallo sfruttamento. Si tratta di riconoscere che il mondo del lavoro è profondamente costruito su un modello maschile, in cui le politiche "sui tempi" o le "pari opportunità" sono state sinora puramente decorative.

Per questi motivi, vogliamo condividere con le donne la mobilitazione contro questa nuova violenta campagna, impegnandoci ad intervenire direttamente per modificare, a partire dai comportamenti quotidiani, le culture che alimentano la violenza e comprimono le libertà ed i diritti. Delle donne e degli uomini.

Tra i primi firmatari:

Luca Bacchetta, Vincenzo Moriello, Florindo Oliverio, Alberto Villa, Vito Romito, Antimo De Col, Giuseppe Gesualdi, Antonio Leandro, Pino Esposito, Ivan Africani, Andrea Torelli, Salvatore Altabella, Dario Bissoni, Claudio Cassini, Alberto Corradini, Nicola Della Casa, Fausto Fraccalini, Pietro P. Ghidorzi, Gino Goffredi, Imerio Maistrello, Massimiliano Osini, Alberto Ovi, Mattia Palazzi, Franco Reggiani, Alberto Rigamonti, Carlo Saletta, Serafino Scandale, Giorgio Signoretti, Carlo Stringari, Roberto Troni, Fabrizio Vincenzi, Francesco Zucchi, Francesco Ferrati, Tommaso Terrana, Alberto Anghileri, Ivano Panzica, Oliviero Redaelli, Sergio Zappa, Carlo Pentimalli, Lino Ceccarelli, Antonio Corbeletti, Ettore Armanasco, Raffaele Maggi, Luca Fonsdituri, Vincenzo Puglisi, Andrea Allegranti, Lucio Fella, Giuseppe Vella, Fiorenzo Gnesi, Pietro Cocco.

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