AI Carenza cognitiva da Intelligenza Artificiale

SALUTE & AI - I rischi dell'intelligenza artificiale, in alcuni campi sembrano superare i suoi vantaggi. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale per i compiti, da parte dei giovani e delle giovani ancora impegnati nei propri percorsi di studio e di formazione, se da un lato regala una maggiore velocità di "esecuzione" degli elaborati, dall'altro esige il caro "prezzo" di una diminuzione della vitalità dell’attività cerebrale con conseguente carenza cognitiva. Non a caso dall'avvento delle AI si ritorna sulla questione (sul problema) dell'analfabetismo funzionale, ovvero quella difficoltà che sempre più persone manifestano nel comprendere e analizzare testi scritti di media complessità.

La carenza cognitiva da uso di intelligenza artificiale ci viene segnalata da un recente studio del MIT che, a scopo di ricerca, ha acquisito le scansioni cerebrali di studentesse e studenti che si aiutano regolarmente nei compiti usando ChatGpt.

Già a partire titolo, lo studio del MIT condensa il senso del tutto: “Il tuo cervello e ChatGPT: accumulo di debito cognitivo nell’utilizzo di un assistente di intelligenza artificiale per gli elaborati di scrittura”.

In altre parole, l’uso, ma spesso l’abuso, dell’intelligenza artificiale nella redazione dei propri elaborati, se da un lato consente di aumentare la velocità nello svolgimento dei compiti assegnati del 60%, dall’altro, riduce lo sforzo mentale del 32%. Generando elaborati standardizzati, spersonalizzati e piatti, di fatto, poi, le AI si rivelano inutili all’accrescimento della conoscenza rallentando di fatto le capacità di apprendimento e formazione.

A guidare lo studio del MIT, Natalia Kosmyna, una ricercatrice con una sfilza di titoli e un lunghissimo CV in informatica che lavora sull’interazione fra computer e cervello umano. Il modello prevedeva 3 gruppi di studio da un campione di 54 volontari: il gruppo “Brain-only” che poteva contare solo sulle proprie risorse mentali, senza accesso a internet; un secondo gruppo con accesso al solo motore di ricerca di Google e un terzo gruppo con pieno accesso all’intelligenza artificiale generativa, in particolare ChatGpt di Open AI.

Manco a dirlo, i componenti del team con accesso a ChatGpt hanno ottenuto risultati inferiori rispetto agli altri due team, a tutti i livelli: «neurale, linguistico, di punteggio».

I dati di analisi danno i brividi: l’83% degli utenti non riusciva a ricordare parti dell’elaborato consegnato pochi minuti prima. Inoltre, «chi era abituato a contare su ChatGPT ha mostrato un’attivazione cerebrale più debole quando è rimasto senza supporto digitale, come se la mente fosse divenuta più pigra e incapace di creatività, giudizio di merito e memoria profonda» (fonte: Rainews.it).

Non dimentichiamoci soprattutto che oggi qualsiasi dispositivo elettronico con accesso a internet offre automaticamente all’utenza, in ogni momento, la possibilità di ricorrere per i propri testi al contributo (all’intrusione?) della AI.

Tutto questo ci porta allora a interrogarci fortemente su dove stiamo andando e soprattutto sul come ci stiamo andando, visto che molti (troppi!) scenari oggi dipingono l’arrivo delle intelligenze artificiali come la panacea di tutti i mali, ma che spesso non ne considerano l'impatto sull'ambiente e le numerose implicazioni.

Come conclude lo stesso studio, «Di fronte a questo bivio tecnologico, diventa cruciale comprendere tutto lo spettro delle conseguenze cognitive associate all'integrazione delle AI nei contesti educativi e informativi. Sebbene questi strumenti offrano opportunità senza precedenti per migliorare l'apprendimento e l'accesso all'informazione, il loro potenziale impatto sullo sviluppo cognitivo, sul pensiero critico e sull'indipendenza intellettuale richiedono una considerazione molto attenta e una continua ricerca» stante l’elevato «costo cognitivo» «prima che vengano riconosciuti come qualcosa di distintamente positivo per gli esseri umani».

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Crediti: foto di copertina by Immo Wegman; altra by Tyani Ma, entrambe da Unsplash

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