OLIO EVO & Produttrici Monica Cirinnà

OLIO EVO - Monica Cirinnà, Toscana [Scritto per Vitamine Vaganti 106/2021] Tira un sospiro di sollievo, Monica Cirinnà, nel ricordare come durante il lockdown le aziende agricole siano potute rimanere aperte: al tempo del Covid-19 poter lavorare in agricoltura ha rappresentato «una salvezza».

Nel cuore di questa Avvocata, Docente di procedura penale, Senatrice e Agricoltrice, la sua CapalBIO Fattoria, azienda agricola e vinicola biologica fondata nel 2001, ha un posto più che speciale. Poco più di una sassaia ai tempi dell’acquisto, con campi, fossi e canali d’irrigazione trascurati a fotografarne anni di incuria, oggi è invece un luogo accogliente e sereno che racconta storie di biodiversità, tutele e centralità degli ecosistemi.

Del passato di abbandono, non si rintracciano segni, anche grazie alla perizia del marito, Esterino Montino, attuale Sindaco di Fiumicino, che provenendo da una famiglia in agricoltura sin dai tempi delle riforme agrarie, ha offerto a questa terra un contributo fondamentale. «Nato a Maccarese da un papà veneto e una mamma abruzzese arrivati nel Lazio nei primissimi anni del regime fascista, ai tempi della bonifica dell’Agro pontino, Esterino masticava agricoltura sin da ragazzino. Al contrario di me, che provenendo da una famiglia urbana e borghese, me ne avvicinavo invece da appassionata di ambiente e di ecologia, stregata dall’agricoltura ma anche con la volontà di seguire i destini di animali in difficoltà, ai quali volevo offrire un rifugio sicuro».

Nel 2001, tolti i cinquantaquattro ettari di bosco, rimasti tali e fortemente tutelati, i rimanenti ettari della tenuta, sulla carta costituiti da terreni seminativi, sono in effetti solo un ammasso di terra e sassi da riconvertire.  «Impiantammo ex novo l’uliveto, le vigne, il frutteto, destinando anche una parte delle terre per un orto e una per farne erbai per produrre il fieno necessario al sostentamento degli animali».

Un ecosistema perfettamente in equilibrio, tenuto nel regime biologico «con immensa fatica a causa della burocrazia», vede Cirinnà togliersi la giacca da contadina e indossare quella da parlamentare per fare critica costruttiva: «a livello di istituzioni — dice —non è stato fatto ancora abbastanza da nessun governo. Gli agricoltori sono strozzati dalla burocrazia e quelli che scelgono il regime biologico lo sono anche maggiorente, perché devono sopportare controlli continui e incalzanti. Controlli che è giusto attuare, ma che non dovrebbero farsi tanto stringenti perché non è pensabile pretendere che piccole realtà agricole dedichino due giorni a settimana alla burocrazia sottraendo quel tempo ai campi. Non si è fatto abbastanza, lo ribadisco, ma se devo trovare una ragione a discolpa mia personale, ammetto che per evitare accuse di conflitto d’interessi ho scelto di non entrare in Commissione agricoltura.

Per ritornare al valore vero del rapporto con la terra bisognerebbe ripensare il concetto di proprietà, tanto caro al nostro Codice civile, che ai suoli non si dovrebbe applicare in modo troppo esclusivo: se madre terra ci ha donato la possibilità di condurre un fondo agricolo, non dovremmo sentircene proprietari, ma riconoscerlo in uso e comprenderne il dovere di condivisione. Tutto ciò che si produce deve essere reso disponibile a chi può trarne benefici per sé e per gli altri e questo avviene con il rapporto diretto con le persone, con le produzioni a chilometro zero, con la vendita al prezzo giusto».

L’agricoltura biologica è certamente più onerosa, ma prezzi esorbitanti, tanto più alti rispetto ai prodotti di quella convenzionale, come da tempo si vedono in alcuni negozi e filiere, per Cirinnà sono ingiustificati, nonostante realizzare un fondo totalmente biologico non sia stato facile. Soprattutto i primi tempi, quando si dovettero acquistare costosi macchinari per depurare i campi dai sassi o quando si sceglie, da sempre, di remunerare correttamente tutto il personale, rispettando le regole del lavoro in regola.

L’agricoltura, oggi, ovunque, dovrebbe tornare a nutrirsi della dignità del lavoro nei campi col sostegno di presupposti più rispettosi della sua natura e della sua storia. Posto che «sfruttamento e caporalato» sono pratiche deprecabili e da contrastare senza dubbi né tentennamenti, occorrerebbe tuttavia ripensare regole oggi troppo farraginose, che impediscono finanche a parenti e amici di aiutare nella raccolta delle olive, o nella vendemmia, sottraendo a queste tradizioni quel portato culturale che nasceva dallo stare insieme, facendone venire meno gusto, storia e memoria.

Nel piccolo frantoio della tenuta, dove si possono frangere non più di cinquanta chili di olive l’ora e dove le olive arrivano alle macchine entro le due ore dalla raccolta, si percepisce fortemente la nostalgia dell’assenza delle mani di quelle amiche, e quegli amici, che tempo addietro avevano contribuito alla sua nascita: «quando le regole di oggi impongono di non poter più condividere il gusto dell’olio extravergine appena franto con amici e familiari, forse quelle leggi si dovrebbero ripensare. Soprattutto in questi anni in cui la disoccupazione falcidia i giovani e i lavori in agricoltura potrebbero tornare ad essere un modo per reinventare un senso di comunità. Soprattutto oggi che l’agricoltura rappresenta ancora un modo per restare umani».

Nostra madre terra è femmina e le contadine sanno cosa voglia dire produrre, raccogliere, cucinare. Trasformare. «Noi donne siamo quelle che tengono insieme la famiglia, gli affetti, la comunità. Così la mia gioia è nel sapere che i prodotti che realizziamo arrivano sulla tavola di amici e familiari e delle persone che acquistano in azienda. A colazione le confetture, a pranzo l’olio, a cena il vino».

Per l’olio, l’annata 2020 è stata veramente molto buona e l’uliveto, misto di varietà di Leccino, Canino e Frantoio ha dato drupe tanto belle che una parte si è potuta riservarla per farne olive in salamoia. L’anno del lock-down e della pandemia, che ha visto la natura riappropriarsi momentaneamente di spazi e ritmi diversamente impossibili, ha richiesto a produttori e produttrici di mettere in campo tutte le proprie energie personali. «Come donna ho fatto appello alla tenacia, alla capacità e alla voglia di non mollare mai. Chiedendo ai dipendenti di lavorare con le protezioni anticovid. Con fatica, ma con la determinazione di non farci travolgere da questo nemico infido. Con risolutezza e con la consapevolezza di avere il dovere di resistere».

«La natura ci sta indicando che è arrivato il momento di capire che abbiamo troppo abusato di lei, che nel secolo scorso abbiamo attentato alle risorse del mondo con l’industria massiva, con i cambiamenti climatici, avvelenando la terra e devastando i mari. I campi fioriti a novembre, per quanto possano rallegrarci la vista, rappresentano un segnale pericolosissimo. La natura ci sta chiedendo di fermarci. Nel modo bello in cui sa farlo, con le fioriture fuori stagione, ma con segnali forti che non possiamo più permetterci di ignorare».

La questione dei cambiamenti climatici, che oltre alle fioriture fuori stagione porta effetti devastanti e sconvolgimenti idrogeologici da tempo sotto gli occhi di tutti, dovrebbe essere tra i primi punti in agenda di un governo serio. Non a caso gli USA, con il governo Biden, stanno cercando di rientrare in tutti i protocolli di attenzione e rispetto al clima. Abbiamo solo questo pianeta e dobbiamo tenercelo caro, ma come trasferire alle persone, il senso profondo di quello che sta avvenendo?

Il comparto dell’Olio EVO italiano può certamente farlo attraverso una maggiore e più decisa presenza sul mercato di prodotti di qualità. Che però devono uscire dalle logiche dei prezzi troppo elevati e tornare a essere competitivi. «Una mia bottiglia di olio extravergine di oliva biologico da 75cl, realizzata con olive raccolte a mano al momento dell’invaiatura, costa dodici Euro, un prezzo che ritengo accessibile a chi acquista e congruo per noi che produciamo. Purtroppo, invece, altri vendono olio Bio a prezzi tanto esorbitanti che allontanano le persone dalla cultura del mangiare sano. Per non parlare della concorrenza enorme e pessima, degli oli industriali, realizzati quasi tutti con olive non italiane, che spesso provengono dai paesi del Magreb e delle quali non sappiamo nulla sotto ogni punto di vista. Come sono state coltivate quelle olive? Da chi? Dove? Sono state irrorate con pesticidi? Come hanno viaggiato nelle stive delle navi? Non dimentichiamoci, che l’oliva è un frutto delicato e che inizia i suoi processi fermentativi non appena staccata dalla pianta. Quindi attenzione: se acquistiamo una bottiglia di olio a quattro euro, domandiamoci, per lo meno, cosa stiamo consumando. È proprio qui che si avverte la mancanza di una cultura del mangiare sano rispetto al risparmio e visto che non si può evitare di tenere insieme economia e salute, è ora di proporre prodotti sani a prezzi accettabili. Soprattutto in questa fase in cui le persone hanno paura del futuro e la prima cosa che cercano di fare è risparmiare. Ma risparmiare sulla qualità dei cibi che si portano in tavola diventa un’arma a doppio taglio se andiamo a considerare che, alla fine, noi siamo ciò che mangiamo».

Se il cibo che scegliamo è la cartina di tornasole della nostra salute, la filosofia di CapalBIO Fattoria trova senso compiuto quando della sostenibilità e della qualità fa il proprio pensiero di base. Fertilizzanti naturali, niente prodotti chimici, rispetto per le persone, per il lavoro, per i ritmi della terra e per i passaggi della filiera, garantiscono qui un olio extravergine di oliva che nasce da una profonda ricerca etica. Oltre che da un ambiente sano, naturale, amorevole e certificato.

Tutte le informazioni al sito https://capalbiofattoria.it/

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